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ENCICLICA
DEL SOMMO PONTEFICE
LEONE XII

AD PLURIMAS

 

Ai Venerabili Fratelli Patriarchi, Primati, Arcivescovi e Vescovi.

Il Papa Leone XII.
Venerabili Fratelli, salute e Apostolica Benedizione.

Alle molteplici e terribili calamità che hanno angustiato il memorabile Pontificato del gloriosissimo Nostro Predecessore, Noi abbiamo veduto, con il più grande dolore di questa città e di tutti i popoli cattolici, aggiungersi l’incendio per il quale una Basilica così antica, portento di valore, di solennità, d’arte, eretta ad onore dell’Apostolo dottore delle genti, monumento insigne della pietà e della magnificenza di Costantino il Grande, dal quale era stata fondata, degli imperatori Valentiniano, Teodosio, Arcadio ed Onorio dai quali era stata ampliata ed ornata con nuove opere, infine dei Pontefici Romani, dai quali era stata restaurata, bruciò in poche ore, una notte, per un improvviso incendio. Lo stesso Nostro Predecessore [Pio VII] aveva mostrato la sua pietà verso il santo Apostolo, comandando che si facessero le riparazioni necessarie alla Basilica, ma si vide che occorrevano grandi mezzi in quanto l’incredibile violenza delle fiamme aveva distrutto quasi tutto.

Pochi giorni dopo seguì per Noi e per tutta la Chiesa un altro acerbissimo dolore: la morte dello stesso Pontefice. Per volontà di Dio, Noi fummo messi al suo posto, sebbene con meriti tanto ineguali. Dolenti per quel funesto sinistro che privò Roma di un sì magnifico ornamento, venerando gli augusti misteri della divina Provvidenza, in mezzo alle altre onerose cure del Nostro ministero, Noi abbiamo rivolto il pensiero a quelle rovine, e abbiamo invocato tutti i soccorsi dell’arte e dell’industria affinché potesse rimanere in piedi quel poco che era sfuggito alle fiamme. Così, mediante il Nostro zelo, speravamo di far aprire nel prossimo Anno Santo la porta d’oro di quella Basilica, come al solito. Questa speranza Ci ha fatto nominare la Basilica Ostiense nella Nostra lettera di indizione del Giubileo universale insieme alle altre Basiliche patriarcali che si dovevano visitare per ottenere l’indulgenza. Se non che, dopo le prime rovine, se ne scopersero tante altre e così grandi che abbiamo chiaramente riconosciuto che non vi si potevano celebrare le sacre cerimonie del Giubileo, com’era Nostro desiderio, senza grave pericolo. Abbiamo pertanto dovuto abbandonare il Nostro pensiero, ed ordinare che la Chiesa venisse completamente riedificata. Ma trovammo un ostacolo nella tenuità delle Nostre rendite; il che a nessuno parrà strano dopo tante perdite sofferte da questo Stato. Ciò nondimeno, Noi non Ci siamo perduti d’animo ed abbiamo intrapreso l’opera, non dubitando punto che i fedeli non solo avrebbero lodato il Nostro proposito, ma anzi Ci avrebbero aiutato a gara con i loro mezzi per portare a compimento l’opera.

Infatti, chi sarà colui che non vorrà fare tutto quello che potrà per assecondare i Nostri voti, se soltanto considera che Noi li abbiamo formulati per la gloria e per il culto di un uomo di cui lo stesso Cristo disse: «Codesto è il mio vaso d’elezione, destinato a portare il mio nome alle nazioni ed ai Re»? Di lui, che da quell’istante, infiammato dalla forza della divina carità, «essendosi fatto tutto a tutti, per guadagnare tutti a Cristo», percorse tanti paesi in viaggi asperrimi, si espose a tutti i pericoli di terra e di mare, sostenne con coraggio indicibile la povertà, le veglie, la fame, i naufragi, le piaghe, le lapidazioni, i tradimenti, le miserie d’ogni genere, tanto che, a dispetto della sua modestia, fu, dall’ispirazione dello Spirito Santo, costretto a dire che egli «aveva faticato più di qualunque altro discepolo di Cristo»? Di lui, infine, che, donando il suo sangue e la sua vita, confermò con un glorioso martirio quella verità che aveva insegnato con le parole e con l’esempio, e che Ci permette di affermare che, particolarmente per opera sua, i nostri padri furono chiamati da Cristo «dalle tenebre all’ammirabile sua luce»? Paolo respira e vive ancora nelle sue lettere che, quand’anche mancassero altri argomenti, basterebbero esse sole a convincere gli uomini al Vangelo, tanto è presente in esse la parola di Dio, «viva ed efficace, più penetrante di qualunque lama a due tagli, che giunge fino alla divisione del cuore e dello spirito».

E dopo che noi gli dobbiamo tanto, che di più non potremmo, ci sarà un uomo così ingrato che non si ritenga obbligato a contribuire, per quanto può, alla gloria dell’Apostolo?

L’Apostolo è stato animato da un amore tanto grande per Cristo, tanto ha sofferto per Lui e con tanto frutto, che dovremmo stimare grandissima l’efficacia della sua protezione presso Dio e grandissimi il merito e la venerazione di cui gode presso tutti. Egli ha il suo posto presso quel supremo Principe a cui sono state consegnate le chiavi del Paradiso. Ora si trova davanti a Dio, intercessore per la Chiesa; ed alla fine del mondo giudicherà con Cristo le «dodici tribù d’Israele». E come quelle due luci della Chiesa, uguali l’una all’altra, avendo ambedue ricevuto «le primizie dello Spirito», hanno i primi seggi nel cielo, egualmente ad ambedue sulla terra si sono sempre resi i primi onori. Dio ha concesso a ciascuno la sua ricompensa, in modo che in coloro che particolarmente si sforzarono di diffondere la gloria divina, si compie l’oracolo di Dio: «Chiunque mi glorifica, sarà da me glorificato». Così è accaduto che per le esortazioni dei Nostri Predecessori Bonifacio IX, Martino V, Eugenio IV, molti cittadini e stranieri contribuirono abbondantemente al restauro di ambedue le Basiliche; così per i doni generosi di Giulio II e dei suoi Successori, congiunti alle spontanee offerte di altre persone, sorse la Chiesa del Vaticano, una delle più ampie e più belle di tutto l’universo. Così per gli stessi motivi Noi abbiamo fiducia che si mostreranno pii e liberali tutti quelli che sono fedeli a Cristo e a questa Santa Sede mentre, nel nome di Paolo, chiediamo loro un aiuto per le Nostre necessità. Noi dobbiamo aspettarci questo soccorso dal popolo devoto, tanto più che Ci sembra essere pervenuto a Noi, da Dio stesso, questo pensiero, questo desiderio di mantenere viva fra noi la gloria dell’Apostolo, in quanto, in mezzo all’orrore della volta crollata sulle rovine delle grandi colonne di marmo ridotte in cenere, intera si è conservata la tomba dell’Apostolo, così come, in Babilonia, i tre giovinetti restarono illesi nell’ardente fornace.

Si ergerà dunque sullo stesso suolo, non lungi dal luogo in cui ha dato la vita per Cristo; si ergerà di nuovo una Chiesa a Paolo, al compagno dei meriti e della gloria di Pietro. Se non avrà più quelle colonne e quegli altri ornamenti d’inestimabile valore che un giorno aveva, la chiesa sarà costruita con quella magnificenza che le offerte raccolte permetteranno; di nuovo si onorerà doverosamente quella tomba alla quale secondo la testimonianza del grande Crisostomo (che per essa desiderava principalmente vedere Roma) accorrevano ossequiosi gli imperatori, i consoli, i condottieri, ed a cui non cessavano di portarsi in folla, come ad una fonte perenne di celesti beneficenze, uomini d’ogni età e ordine, che a tale scopo intraprendevano lunghi pellegrinaggi.

Dio volesse, Venerabili Fratelli, che la forza e la nobiltà delle parole che uscivano dalla bocca di Crisostomo nel parlare dei meriti di San Paolo, fossero possedute anche da Noi per eccitare il cuore dei fedeli. Voi, investendovi del suo spirito, saprete trarre dai suoi meravigliosi sermoni gli argomenti più validi a far sì che i vostri fedeli si infiammino di venerazione e di amore per l’Apostolo delle genti, per il loro Apostolo, e facciano tutto il possibile per cooperare con i Nostri sforzi. Noi sappiamo ciò che San Paolo ha fatto per i fedeli; non esitiamo a farlo per lui. Egli raccolse ovunque elemosine e le portò a Gerusalemme per alleviare la povertà materiale dei fedeli. Voi raccoglierete elemosine per mezzo delle quali davanti a Dio, con l’intercessione dell’Apostolo, potrete soccorrere ai bisogni spirituali dei fedeli. In una parola, Noi vi eleggiamo Nostri coadiutori in un’impresa così religiosa. Tutto quello che avrete ricevuto dalla pietà dei fedeli, procurate che sia inviato a Noi. Noi vi scriviamo con tanta fiducia nella vostra pietà e nel vostro buon volere, che speriamo vedere persino superata la Nostra attesa. Vi sarà un numero considerevole di imitatori di quella felicissima vedova che fu degna di un particolare encomio da parte di Cristo Signore: «Ella era povera, e, malgrado la sua povertà, depose nel tesoro più di quello che vi deposero coloro che nuotavano nell’abbondanza». Noi speriamo pertanto che la Basilica risorga dalle macerie con quella magnificenza che conviene al nome e alla memoria del Dottore delle genti. Pervasi da questa speranza, Ci sentiamo consolati nel Nostro dolore; vi auguriamo i beni più salutari, Venerabili Fratelli, e vi impartiamo con sincero affetto la Benedizione Apostolica.

Dato a Roma, presso San Pietro, il 25 gennaio 1825, anno secondo del Nostro Pontificato.

 



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