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BREVE
DEL SOMMO PONTEFICE
GREGORIO XVI

QUAS VESTRO

 

Ai Venerabili Fratelli Presuli dell’Ungheria.

Il Papa Gregorio XVI. 
Venerabili Fratelli, salute e Apostolica Benedizione.

Le devotissime lettere che, a nome vostro e dei Vescovi di codesto Regno, Ci avete fatto pervenire tramite il Venerabile Fratello Vescovo canadese Giuseppe, pervase di sentimenti di sincera devozione, sono state per Noi motivo di gioia e di tristezza ad un tempo. A buon diritto perché, dovendo salvaguardare con ogni cura, in forza del Nostro dovere apostolico, l’integrità della sacra dottrina e del diritto, non possiamo tollerare il sopraggiungere di qualsiasi cosa che possa metterla in pericolo.

È perfettamente noto il pensiero della Chiesa circa i matrimoni fra cattolici ed acattolici. Essa considerò sempre illecite e deleterie tali nozze, sia per la degradante comunione nelle cose divine, sia per l’incombente pericolo di perversione del coniuge cattolico e la scorretta educazione della prole. Trattano proprio di questo problema le più antiche disposizioni canoniche che le riprovano con tutta severità, nonché le più recenti norme adottate dai Sommi Pontefici, di cui non sembra necessaria una lunga e particolareggiata elencazione, essendo più che sufficiente ciò che precisò al riguardo il Nostro predecessore Benedetto XIV, di felice memoria, nella lettera enciclica indirizzata ai Vescovi di Polonia e ciò che si trova nel famosissimo scritto noto con il titolo De Synodo Dioecesana.

Se in qualche luogo, per le gravi difficoltà del momento e per la pesante situazione sociale, siffatti matrimoni vengono tollerati, ciò deve essere ricondotto ad una prassi di profonda ed accorta valutazione che non può in alcun modo essere presa come indizio di approvazione e di consenso, ma di semplice tolleranza, che scaturisce non da un atto di volontà ma dalla necessità di evitare mali maggiori, come sapientemente annotò Pio VII, di venerata memoria, nella lettera inviata il 9 ottobre 1803 all’Arcivescovo di Magonza, riproponendo le risposte del proprio predecessore indirizzate ai Vescovi di Bratislava, di Roznava e di Spisskà Belà.

Se, allentando in qualche modo la severità delle disposizioni canoniche, questa Sede Apostolica permise qualche volta siffatti matrimoni misti, lo fece assai a malincuore, in forza delle summenzionate considerazioni e per gravi e seri motivi, ma sempre con l’espressa ingiunzione di definire le debite precauzioni, non solo per evitare che il coniuge cattolico potesse essere fuorviato da quello acattolico, ma anche perché tenesse sempre presente l’obbligo, nei limiti del possibile, di far recedere la comparte dall’errore e si provvedesse inoltre ad educare nella santa Religione cattolica i figli di entrambi i sessi eventualmente procreati. Si tratta di precauzioni che fondano la loro ragion d’essere nella stessa legge divina e naturale: certamente pecca contro di essa chiunque espone temerariamente se stesso e i futuri figli al pericolo della perversione.

Dalle vostre predette lettere abbiamo avuto la certezza di un abuso assai diffuso nelle diocesi di codesto Regno: matrimoni fra cattolici e acattolici senza la dovuta dispensa della Chiesa e senza le necessarie precauzioni vengono legittimati con la benedizione e con i riti sacri dai parroci cattolici. Potete ben comprendere, Venerabili Fratelli, come non potessimo non essere gravemente colpiti da tutto questo, soprattutto perché ci siamo resi conto di quanto ampiamente abbia preso piede la pratica di tali matrimoni misti, e come si sia inoltre profondamente radicata l’indifferenza verso i contenuti della Religione in vastissime regioni di un Regno che era per l’addietro un vero vanto della Fede cattolica.

Non è Nostra intenzione sorvolare sul fatto che, in forza del Nostro santissimo compito, non avremmo tralasciato di prendere le opportune misure se fossimo stati da tempo a conoscenza della situazione. Potete facilmente intuire il motivo del Nostro silenzio: negli ultimi tempi non è stata concessa alcuna dispensa apostolica per matrimoni misti da celebrare presso di voi se non con l’ingiunzione delle prescritte precauzioni e l’aggiunta delle norme che, per disposizione di questa Santa Sede, si debbono osservare.

Tuttavia, tra le notizie riportate, Ci è stato di non poca consolazione il fatto che, mentre venivamo edotti del male incombente, apprendevamo anche che da parte vostra e dei vostri colleghi venivano messe in atto le strategie per porvi rimedio. Ancor più sovrabbondò di gioia il Nostro cuore constatando con quanto zelo operate in comune per salvaguardare l’integrità della fede, con quale unanime, deferente ossequio vi rivolgete a questa Sede Apostolica, maestra autorevole di verità, sempre attenti al suo cenno per orientare il vostro impegno pastorale.

Dopo aver conosciuto le Nostre disposizioni emanate in materia per altri paesi, non appena avete appurato che la prassi invalsa nei vostri territori era in aperto contrasto con i principi e le indicazioni della Chiesa, e pertanto non poteva più a lungo essere tollerata senza gravi conseguenze, non avete minimamente dubitato, in unità di intenti e di azione, che si dovesse eliminarla e, come era logico, a non demordere, pronti anche ad affrontare con fermezza eventuali gravi pericoli per garantire la salvezza eterna vostra e del gregge a voi affidato.

A rendere piena la Nostra gioia sopravvennero i copiosi frutti che scaturirono dalle vostre solerti iniziative. Sappiamo bene infatti come i parroci, e l’altro clero, abbiano obbedito alle vostre ammonizioni e alle vostre istruzioni in proposito, tanto che – rimossa in lungo e in largo l’illegittima consuetudine – è stata ripristinata l’antica disciplina dei sacri canoni. Esprimiamo dunque a voi, Venerabili Fratelli, la Nostra viva soddisfazione, e mentre ringraziamo Dio che vi ha rafforzato dall’alto per la tutela della fede e della dottrina, non smettiamo di esortarvi e di stimolarvi vigorosamente perché con pari decisione e costanza vi sforziate di difendere la causa della Chiesa cattolica affinché non abbia più a risorgere la malvagia consuetudine: se ancora ne persistesse qualche vestigia, ne possa essere totalmente sradicato il germe.

Nel frattempo non abbiamo potuto non soppesare con oculata attenzione tutte le cose che vi premuravate di riferirci nelle vostre lettere documentando le gravissime difficoltà contingenti che vi hanno indotti, e quasi costretti, a optare per la tolleranza qualora un cattolico o una cattolica, nonostante gli ammonimenti e le debite esortazioni dei sacri pastori, persistesse nel proposito di contrarre nozze miste in assenza delle necessarie precauzioni. In questa situazione, non potendo altrimenti ovviare a un male maggiore per la Religione cattolica, avete deciso che i parroci potessero assistere alle nozze passivamente, senza intervenire in alcun modo nel rito religioso e senza assumere atteggiamenti che potessero essere intesi come approvazione. Mentre rendevate operativi questi provvedimenti, con l’intento di far fronte con assennatezza al problema del momento, avevate già deciso di sottoporre al più presto a Noi un simile arduo dilemma, per ottenere in proposito il Nostro assenso, che presumevate di potere in qualche modo avere in presenza delle pressanti necessità.

Per la verità Noi, pur operando con estrema decisione al fine di mantenere integri i sacrosanti principii della Chiesa cattolica, non abbiamo mai smesso, in forza del potere a Noi conferito, di portare rimedio alle funeste situazioni di codeste regioni e alle angustie a voi sopravvenute. Pertanto, non disapproviamo le ragioni della vostra decisione, e riteniamo che si debba accondiscendere alla vostra richiesta.

Decidiamo ciò in piena sintonia con quanto Noi stessi, sull’esempio dei Nostri predecessori, abbiamo per l’addietro permesso a fatica a favore di altre regioni. Allo stesso modo si era espresso a più riprese Pio VI, di venerata memoria, nei confronti di qualche diocesi dello stesso Regno di Ungheria. Infatti nella risposta che già nel 1782, mentre dimorava a Vienna, e poi nell’anno successivo, dopo il suo ritorno a Roma, inoltrò al vescovo di Spisskà Belà (e la stessa risposta ordinò fosse inviata al successore di questi nel 1795), così palesò il proprio pensiero a proposito dei matrimoni misti in quelle particolari circostanze: «Pur in presenza di precise disposizioni al riguardo, è necessario che il vescovo e i parroci si adoperino con prudente sollecitudine perché simili matrimoni non abbiano luogo e, nel caso vengano celebrati, pretendano che tutti i figli siano educati nella Religione cattolica. Tuttavia ogni qualvolta si verifichi, contro la loro volontà, ciò che non può essere approvato, si astengano sempre dalla benedizione nuziale e la loro presenza, se lo richiedono le circostanze, sia puramente fisica e non si permettano atti o dichiarazioni che autorizzino o approvino che la prole possa essere educata in un’altra religione che non sia quella cattolica».

Se dunque, Venerabili Fratelli, per particolari circostanze locali e situazioni personali si verifichi nelle diocesi di codesto Regno l’eventualità di un matrimonio fra un acattolico e una donna cattolica, o viceversa, anche in assenza delle prescritte precauzioni della Chiesa e non sia possibile in alcun modo evitare altrimenti il danno per la Religione senza il pericolo di un danno maggiore e di uno scandalo e nello stesso tempo (per usare le parole del Nostro predecessore Pio VII di venerata memoria nella succitata lettera al vescovo di Magonza) si arguisca di poter contribuire al bene della Chiesa, simili nozze, pur vietate ed illecite, siano celebrate in presenza di un parroco cattolico piuttosto che di un ministro eretico a cui facilmente potrebbero rivolgersi. In questo caso il parroco cattolico, o un altro sacerdote da lui delegato, potrà assistere al matrimonio con una presenza assolutamente passiva, con l’esclusione di qualsivoglia rito religioso, come se assolvesse al compito di semplice testimone, per così dire, qualificato o autorizzato che, dopo aver raccolto il consenso di ambedue i coniugi, avrà la possibilità, in forza del suo ufficio, di riportare nel libro dei matrimoni la validità dell’atto compiuto.

In queste circostanze, come specificamente raccomandava lo stesso Nostro predecessore, i vescovi e i parroci devono, con ancora maggiori cura e preoccupazione, provvedere che sia rimosso il pericolo di perversione per il coniuge cattolico; che si provveda nel migliore dei modi all’educazione dei figli di entrambi i sessi nella Religione cattolica e che il coniuge di fede cattolica, secondo l’obbligo che gli incombe, s’impegni con le proprie forze alla conversione del coniuge acattolico: ciò gli sarà assai utile per ottenere più facilmente da Dio il perdono dei peccati commessi.

Intimamente addolorati che si debbano introdurre simili criteri di tolleranza in un Regno che si segnalava per la professione della Religione cattolica, confessiamo con tutta sincerità di fronte a Dio di esservi stati indotti, o meglio trascinati, unicamente per evitare il sopraggiungere di più gravi danni per la Chiesa cattolica.

Con tutto il cuore esortiamo dunque voi, Venerabili Fratelli, e tutti i vostri colleghi, per l’immenso amore di Gesù Cristo che immeritatamente rappresentiamo sulla terra, a mettere in atto, dopo aver implorato la luce dello Spirito Santo, ciò che in un affare di così grande rilievo può validamente rispondere allo scopo. Cercate anche di perseguire unanimemente l’obiettivo prefisso, perché a tale tolleranza nei confronti delle persone che si accingono a contrarre illecitamente matrimoni misti non tenga dietro, nel popolo cattolico, l’affievolimento del rispetto dei canoni che condannano tali nozze e della incessante cura con la quale la Santa Madre Chiesa si preoccupa di dissuadere i suoi figli dal contrarre tali matrimoni che recano danno alle loro anime.

Sarà dunque compito vostro, degli altri Vescovi solidali con voi e dei parroci, di ammaestrare i fedeli sia privatamente, sia in pubblico, e ricordare l’insegnamento e le disposizioni che riguardano questi matrimoni e pretenderne la scrupolosa osservanza.

Non mancherete certo di provvedere a tutto ciò in forza della vostra provata devozione, della fede e del rispettoso ossequio verso questa Cattedra del Beato Pietro, e Noi, con grande affetto impartiamo a voi e a tutti i vostri colleghi l’Apostolica Benedizione, propiziatrice dell’aiuto celeste e testimonianza del Nostro amore: Benedizione che ciascuno estenderà al proprio gregge.

Dato a Roma, presso San Pietro, sotto l’anello del Pescatore, il 30 aprile 1841, undicesimo anno del Nostro Pontificato.

 

 

 



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