Index   Back Top Print

[ EN  - ES  - FR  - IT  - PT ]

DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
AI PARTECIPANTI AL XV CAPITOLO GENERALE
DELLA CONGREGAZIONE DEI MISSIONARI DI SAN CARLO (SCALABRINIANI)

Sala del Concistoro
Lunedì, 29 ottobre 2018

[Multimedia]



Discorso a braccio del Santo Padre e momento di dialogo

Discorso consegnato


 

Parole pronunciate a braccio dal Santo Padre

Papa Francesco:

Ho preparato alcune parole da dirvi, ma le consegno al Padre generale e preferisco parlare un po’ dal cuore, e se c’è tempo dare l’opportunità di fare qualche domanda. Vorrei prima di tutto ringraziarvi per quello che fate. Io ho avuto la grazia di conoscervi da prima di essere Arcivescovo di Buenos Aires, perché i vostri studenti studiavano nella nostra facoltà. Sono stati bravi! Poi, come Arcivescovo, ho avuto il vostro aiuto in quella città che tanti problemi aveva di immigrazione. Grazie tante! E adesso grazie per averci dato uno dei due Sotto-Segretari per i migranti. Lavorano tanto bene tutti e due.

Ero straniero”. Questa parola mi ha fatto “rumore” quando Lei l’ha detta… È più facile accogliere uno straniero che essere accolto, e voi dovete fare ambedue le cose. Voi dovete insegnare, aiutare ad accogliere lo straniero, e dare tutte le possibilità alle nazioni che hanno di tutto o il sufficiente per usare queste quattro parole che Lei ha detto. Come accogliere uno straniero. Mi colpisce tanto la Parola di Dio: già nell’Antico Testamento sottolinea questo: accogliere lo straniero, “perché ricordati che tu sei stato straniero”. È vero che oggi c’è un’ondata di chiusura verso lo straniero, e ci sono anche tante situazioni di tratta delle persone straniere: si sfrutta lo straniero. Io sono figlio di migranti, e ricordo nel dopoguerra – ero un ragazzino di 10/12 anni – quando, dove lavorava papà, sono arrivati i polacchi a lavorare, tutti migranti; e come erano accolti bene. L’Argentina ha questa esperienza di accogliere, perché c’era lavoro e c’era anche bisogno. E l’Argentina – per la mia esperienza – è un cocktail di ondate migratorie, voi lo sapete meglio di me. Perché i migranti costruiscono un Paese; come hanno costruito l’Europa. Perché l’Europa non è nata così, l’Europa è stata fatta da tante ondate migratorie durante i secoli.

Una volta Lei ha usato una parola brutta: il “benessere”. Ma il benessere è suicida, perché ti porta a due cose. A chiudere le porte, perché non ti disturbino: soltanto quelle persone che servono per il mio benessere possono entrare. E da un’altra parte, per il benessere, non essere fecondi. E noi abbiamo oggi questo dramma: di un inverno demografico e di una chiusura delle porte. Questo deve aiutarci a capire un po’ questo problema di ricevere lo straniero: sì, è un estraneo, non è dei nostri, è uno che viene da fuori. Ma come si accoglie uno che è estraneo? E questo è il lavoro che voi fate e aiutate a fare: a formare le coscienze per farlo bene. E di questo vi ringrazio.

Ma c’è l’altra dimensione. Noi non siamo i padroni che diciamo: “Ah, voi, se siete stranieri, venite”. No. Anche noi siamo stranieri. E se noi non cerchiamo di essere accolti dalla gente, da quelli che sono migranti e da quelli che non lo sono, manca un’altra parte nella nostra coscienza: diventeremo i “padroni”, i padroni dell’immigrazione, quelli che sanno di più delle migrazioni. No. Occorre avere, nella vostra esperienza religiosa, questa esperienza: di essere anche voi migranti, almeno migranti culturali. Per questo a me è sempre piaciuto, nel vostro itinerario di formazione, il fatto di far girare gli studenti: fare la teologia qui, la filosofia là…, perché possano conoscere diverse culture. Essere straniero. E questo è molto importante. Dalla propria esperienza di essere stato straniero, per gli studi o per le destinazioni, cresce la conoscenza di come si accoglie uno straniero.

Queste due cose, queste due direzioni sono molto importanti, e voi dovete farle bene. Questa è la prima cosa che volevo dire.

Lei ha anche usato un’altra parola: pregare. Il migrante prega. Prega perché ha necessità di tante cose. E prega a modo suo, ma prega. Un pericolo per tutti noi, uomini e donne di Chiesa, ma per voi di più, per la vostra vocazione, sarebbe non avere bisogno di preghiera. “Sì, sì, io penso, io studio, io faccio, ma non so mendicare, non so chiedere di essere accolto dal Signore essendo anch’io migrante verso il Signore”. Per questo mi è piaciuto quando ha parlato di preghiera: preghiera che tante volte è noiosa, o ti porta l’angoscia. Ma stare davanti al Signore e bussare alla porta, come fa il migrante, che bussa alla porta. Come ha fatto quella “migrante” in Israele – la donna siro-fenicia – che è riuscita pure a discutere col Signore (cfr Mt 15,21-28). Bussare alla porta della preghiera. Essere migranti nell’esperienza della migrazione, come voi fate nelle destinazioni, ed essere migranti nella preghiera, bussare alla porta per essere ricevuto dal Signore: questo è un aiuto molto importante.

E un altro fenomeno dei migranti – pensiamo alla carovana che va dall’Honduras agli Stati Uniti – è l’ammucchiarsi. Il migrante di solito cerca di andare in gruppo. A volte deve andare solo, ma è normale ammucchiarsi, perché ci sentiamo più forti nella migrazione. E lì c’è la comunità. Nel calcio c’è la possibilità di un “libero”, che possa muoversi secondo le opportunità, ma da voi non c’è possibilità, i “liberi” da voi falliscono. Sempre la comunità. Sempre in comunità, perché la vostra vocazione è proprio per i migranti che si ammucchiano. Sentitevi migranti. Sentitevi, sì, migranti davanti ai bisogni, migranti davanti al Signore, migranti fra voi. E per questo il bisogno di ammucchiarsi.

Queste tre cose mi sono venute in mente mentre Lei parlava. Queste idee che forse possono aiutarvi. Vi ringrazio per tutto quello che fate. Voi siete un esempio. E siete anche coraggiosi, perché spesso voi andate oltre i limiti, rischiate. E rischiare è pure una caratteristica del migrante. Rischia. Rischia anche la vita a volte. E questa è una cosa che aiuta: coraggiosi, sanno rischiare. La prudenza in voi ha un’altra tonalità rispetto alla prudenza di un monaco di clausura: sono prudenze diverse. Ambedue virtù, ma con coloriture diverse. Rischiare.

C’è ancora un po’ di tempo. Non so se qualcuno vuol fare qualche domanda per arricchire l’incontro. Dai!

Prima domanda di uno Scalabriniano [in italiano]

Santo Padre, vorrei prima di tutto ringraziarLa per questo incontro – anche se il Superiore Generale lo ha già fatto –, ringraziarLa a nome di tanti migranti che mi hanno chiesto oggi di dirLe che Le vogliono molto bene. Vogliamo ringraziarLa per tutti gli insegnamenti, ringraziarla specialmente per quello che fa – il Superiore lo ha ricordato oggi – e chiederLe anche di non stancarsi mai di chiedere alla Chiesa e a noi Scalabriniani, oggi specialmente, di essere “evangelizzatori con Spirito”, come Lei ha detto molto bene nella Evangelii gaudium e nella Gaudete et exsultate. Grazie e ci chieda sempre questo!

Papa Francesco

Grazie a te! Un altro coraggioso?

Domanda di uno Scalabriniano [in italiano]:

Santità, dalla Sua prospettiva, che è universale, dove dovremmo andare?

Papa Francesco:

Non siete così numerosi per andare dove c’è bisogno: oggi c’è bisogno dappertutto. La scelta dei posti si fa con il discernimento, il discernimento davanti al Signore e davanti alle necessità che ci sono nel mondo. E non è facile, non è facile scegliere questo. Ci sono due parole che forse mi aiuteranno a risponderti. Una è sempre il magis: sempre di più, sempre di più, perché Dio ti attrae così. Andare di più. Andare senza stancarsi di andare oltre, oltre, verso nuove frontiere. Questa è una dimensione di una buona scelta. E l’altra è una frase che nella prima parte della Summa Teologica San Tommaso dice, un “motto”, in latino è: “Non coerceri a maximo, contineri tamen a minimo divinum est”. “Non essere soggetto alle cose grandi, e tuttavia tenere conto delle più piccole, questo è divino”. E non è facile, scegliere in questa tensione: “Non coerceri a maximo” no, avere l’orizzonte, senza spaventarsi, ma “contineri tamen a minimo”: “questo è divino”. E Dio fa così, perché Dio è Dio dell’universo, della storia della salvezza, è il Maximus. È il Dio del sacrificio della croce: il massimo di amore. Ed è anche il Dio che ha cura di ogni persona, del “minimo”: è capace di aprire la porta del Paradiso a un ladro.

Con questi due criteri: il magis, e anche questa tensione, credo che voi potete fare delle scelte buone.

E una scelta buona è la capacità di congedarsi. Questo succede non solo a voi, a tutti. Arrivato il momento che Dio chiede per l’obbedienza a Lui, o l’obbedienza tramite i superiori, di congedarsi, farlo. Congedarsi non è facile. Ci sono dei congedi buoni: Lei è felice di congedarsi dal posto di superiore generale, oggi! È felice. Ma congedarsi è difficile, perché uno si abitua al lavoro, si abitua alla comunità, si abitua al popolo, si abitua… E dire di no e andare indietro, ci vuole coraggio, e ci vuole santità per farlo bene. Capacità di congedarsi quando è la volontà di Dio, sia per l’obbedienza, sia per altri motivi, sia per l’ispirazione, che ti dice: “basta”. Questo aiuta a fare delle buone scelte. Non so se ho risposto, ma quei due principi aiuteranno abbastanza.

Domanda di uno Scalabriniano [in spagnolo]

Yo soy de aquí, crecí en los Estados Unidos desde cuando tenía 16 años y ahora trabajo con los migrantes latinos especialmente los mexicanos. El dolor más grande es cuando ellos no pueden regresar a enterrar a sus papás, después de 20 años en los Estados Unidos. Me gustaría un mensaje para ellos…

Papa Francesco:

Probablemente es la obra de misericordia que menos se entiende. Y la que, me permito la palabra, menospreciamos más: enterrar a los muertos. La menospreciamos porque generalmente mueren viejos y uno dice, bueno, por fin dejó de sufrir y por fin dejó de ser una preocupación para mí. Y todos los egoísmos que se juntan ahí.

Scusate, sto parlando in spagnolo…

Ma quando ci troviamo davanti a questa gente che soffre per non poter andare a seppellire i genitori, ci troviamo davanti alla grandezza del nostro popolo fedele, perché dietro di questo non c’è soltanto l’opera di misericordia, c’è il quarto comandamento, e il popolo fedele di Dio ama il quarto comandamento. Ha il fiuto di sapere che lì c’è anche una benedizione. I cattolici non tanto fedeli, quelli a cui piace guardare avanti, possono avere la tentazione di dimenticarsi dei genitori, e non portarli. Una volta, spiegando i comandamenti – io ero bambino – mia nonna mi raccontò una storia: c’era una famiglia molto cattolica, molto buona… Il nonno vedovo abitava con loro, ma alla fine il nonno si invecchiò troppo e a tavola si sporcava i vestiti, cadeva il brodo o anche la pappa. E a un certo punto il papà ha deciso, e ha spiegato ai figli che, per poter invitare degli amici, il nonno avrebbe mangiato in cucina, da solo. E ha comprato il tavolo per il nonno: fatto bene, di buona qualità, ma da solo. Così la famiglia poteva mangiare senza questa cosa che non era tanto bella. Alcuni giorni dopo, tornando dal lavoro, il papà trovò il figlio più piccolo con un martello, dei chiodi, e dei pezzi di legno, che stava lavorando. “Cosa stai facendo?” - “Sto facendo un tavolo” - “Ma perché un tavolo?” - “Per te, per poterlo usare quando diventi vecchio”. Mai mi sono dimenticato questa cosa. Una storia, una storia che tocca quello che tu hai detto: l’amore per i genitori. E il popolo fedele di Dio ama i genitori, ama i vecchi. La società di oggi, in generale, questa cultura, corre il pericolo di considerare i vecchi come materiale di scarto. Quando non li lascia andare verso tante forme di eutanasia mascherata, come sono quelle di non dare le medicine giuste, o darne di meno perché sono costose, e così muoiono prima. Tutti noi abbiamo anche nonni spirituali, padri spirituali, anche in congregazione. La tua domanda mi suggerisce: i vostri genitori spirituali, in congregazione, sono ben curati? Fate di tutto perché loro vivano in comunità fino a che sia possibile, o siete troppo preoccupati di mandarli alla casa di riposo al più presto? Scusatemi, ma sei stato tu a toccare il tasto!

Domanda di uno Scalabriniano [in spagnolo]

Desde Centroamérica unas palabras nada más. Estando en misión en Guatemala. En este momento Centroamérica llora, Centroamérica clama. Y encontramos muestras de acogida, muestras de cerrazón, muchas de estas muestras de los mismos laicos comprometidos. La Iglesia comienza a abrir sus puertas más, algunos en sus obispos, gracias a Sus palabras y al empuje que está dando. La nuestra mayor tentación es no sentirnos escuchados por Dios ante tanto sufrimiento y tanto clamor, y traerle este clamor a Usted aquí que sé que lo sabe, que lo siente. Y un agradecimiento desde Centroamérica por sus palabras de aliento, sus palabras de fuerza. Gracias Su Santidad.

Papa Francesco:

Grazie a te. Io capisco quella tentazione, capisco. È una tentazione, ma bisogna bussare, bussare, bussare senza stancarsi. Ma in comunità, tutti, tutti insieme. Farlo insieme. Ciascuno, ma sapendo che tutta la comunità prega per questo popolo che soffre tanto.

Domanda di uno Scalabriniano [in spagnolo]

Muchas gracias Santidad. Soy un colombiano por allá perdido en servicio de liderazgo en Australia y Asia donde el Señor nos está bendiciendo con los números de vocaciones. Una gran bendición para nuestra congregación. Un mensaje para nuestros seminaristas, no sólo asiáticos sino toda la congregación y a ese pueblo de Oriente.

Papa Francesco [in spagnolo]

Bueno, un poco diría resumiendo lo que les dije, que sean migrantes primero para poder trabajar con los migrantes. Migrantes de Dios, migrantes con la comunidad, migrantes de un pueblo, que se sientan en camino, en camino. Y con lo de ser migrantes de Dios que lleven a la oración cosas concretas: que la oración es para pelear, para pelear con Dios! Y si uno pelea, saca las cosas. Deciles eso: que tengan coraje.

Adesso, preghiamo la Madonna: “Ave, o Maria…”

Benedizione


Discorso consegnato dal Santo Padre

Cari fratelli,

sono lieto di incontrarvi in occasione del vostro Capitolo Generale e di rivolgere a ciascuno il mio cordiale saluto, ad iniziare dal nuovo Superiore Generale, che ringrazio per le sue parole e al quale auguro ogni bene per il suo ministero.

Al centro della vostra riflessione di questi giorni avete posto il tema Incontro e cammino. «Gesù camminava con loro» (cfr Lc 24,15). Il riferimento è al racconto dei discepoli di Emmaus, che incontrano Gesù risorto lungo la strada. Egli si avvicina per camminare con loro e per spiegare ad essi le Scritture. Il Capitolo rappresenta un momento privilegiato di grazia per la vostra Famiglia religiosa, chiamata ad assumere questo duplice atteggiamento del divino Maestro nei confronti di quanti sono oggetto delle vostre cure pastorali: annunciare loro la Parola e camminare con loro. Si tratta di trovare strade sempre nuove di evangelizzazione e di prossimità, al fine di realizzare con fedeltà dinamica il vostro carisma, che vi pone al servizio dei migranti.

Di fronte all’odierno fenomeno migratorio, molto vasto e complesso, la vostra Congregazione attinge le risorse spirituali necessarie dalla testimonianza profetica del Fondatore, quanto mai attuale, e dall’esperienza di tanti confratelli che hanno operato con grande generosità dalle origini, 131 anni fa, fino a oggi. Oggi come ieri, la vostra missione si svolge in contesti difficili, a volte caratterizzati da atteggiamenti di sospetto e di pregiudizio, se non addirittura di rifiuto verso la persona straniera. Ciò vi sprona ancora di più a un coraggioso e perseverante entusiasmo apostolico, per portare l’amore di Cristo a quanti, lontani dalla patria e dalla famiglia, rischiano di sentirsi lontani anche da Dio.

L’icona biblica dei discepoli di Emmaus fa vedere che Gesù spiega le Scritture mentre cammina con loro. L’evangelizzazione si fa camminando con la gente. Prima di tutto bisogna ascoltare le persone, ascoltare la storia delle comunità; soprattutto le speranze deluse, le attese dei cuori, le prove della fede… Prima di tutto ascoltare, e farlo in atteggiamento di con-passione, di vicinanza sincera. Quante storie ci sono nei cuori dei migranti! Storie belle e brutte. Il pericolo è che vengano rimosse: quelle brutte, è ovvio; ma anche quelle belle, perché ricordarle fa soffrire. E così il rischio è che il migrante diventi una persona sradicata, senza volto, senza identità. Ma questa è una perdita gravissima, che si può evitare con l’ascolto, camminando accanto alle persone e alle comunità migranti. Poterlo fare è una grazia, ed è anche una risorsa per la Chiesa e per il mondo.

Dopo aver ascoltato, come Gesù, bisogna dare la Parola e il segno del Pane spezzato. E’ affascinante far conoscere Gesù attraverso le Scritture a persone di diverse culture; raccontare loro il suo mistero di Amore: incarnazione, passione, morte e risurrezione. Condividere con i migranti lo stupore di una salvezza che è storica, è situata, eppure è universale, è per tutti! Gustare insieme la gioia di leggere la Bibbia, di accogliere in essa la Parola di Dio per noi oggi; scoprire che attraverso le Scritture Dio vuole donare a questi uomini e queste donne concreti la sua Parola di salvezza, di speranza, di liberazione, di pace. E poi, invitare alla Mensa dell’Eucaristia, dove le parole vengono meno e rimane il Segno del Pane spezzato: Sacramento in cui tutto si riassume, in cui il Figlio di Dio offre il suo Corpo e il suo Sangue per la vita di quei viandanti, di quegli uomini e quelle donne che rischiano di perdere la speranza e per non soffrire preferiscono cancellare il passato.

Cristo Risorto manda anche voi, oggi, nella Chiesa, a camminare insieme a tanti fratelli e sorelle che percorrono come migranti la loro strada da Gerusalemme a Emmaus. Missione antica e sempre nuova; faticosa, e a volte dolorosa, ma capace anche di far piangere di gioia. Vi incoraggio a portarla avanti col vostro proprio stile, maturato nell’incontro fecondo tra il carisma del beato Scalabrini e le circostanze storiche. Di questo stile fa parte l’attenzione che voi ponete alla dignità della persona umana, specialmente là dove essa è maggiormente ferita e minacciata. Ne fanno parte l’impegno educativo con le nuove generazioni, la catechesi e la pastorale familiare.

Cari fratelli, non dimentichiamo che la condizione di ogni missione nella Chiesa è che siamo uniti a Cristo Risorto come i tralci alla vite (cfr Gv 15,1-9). Altrimenti facciamo attivismo sociale. Per questo ripeto anche a voi l’esortazione a rimanere in Lui. Noi per primi abbiamo bisogno di lasciarci rinnovare nella fede e nella speranza da Gesù vivo nella Parola e nell’Eucaristia, ma anche nel Perdono sacramentale. Abbiamo bisogno di stare con Lui nell’adorazione silenziosa, nella lectio divina, nel Rosario della Vergine Maria.

E abbiamo bisogno di una sana vita comunitaria, semplice ma non banale, non mediocre. Ho apprezzato quando il Superiore Generale ha detto che lo Spirito vi chiama a vivere tra di voi la comunione nella diversità. Sì, come testimonianza ma prima di tutto come gioia per voi, come ricchezza umana e cristiana, ecclesiale. Vi incoraggio anche a proseguire il cammino di condivisione con i laici, affrontando insieme le sfide dell’oggi; come pure a curare gli itinerari di formazione permanente.

Fratelli, vi ringrazio per questo incontro. Prego per il vostro Capitolo, che porti tanti buoni frutti! Lo chiediamo per intercessione di Maria nostra Madre, di San Carlo Borromeo e del Beato Giovanni Battista Scalabrini. Benedico di cuore voi e tutti i Missionari Scalabriniani. E anche voi, per favore, non dimenticatevi di pregare per me.



Copyright © Dicastero per la Comunicazione - Libreria Editrice Vaticana