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INCONTRO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
CON I GIOVANI DELLA DIOCESI DI VIVIERS (FRANCIA)

Sala Clementina
Lunedì, 29 ottobre 2018

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Durante il nostro pellegrinaggio abbiamo avuto l’opportunità di scoprire che il Signore ha sempre qualcosa di molto personale e attuale da dirci. Come Angelelli c’invita a fare, con un orecchio al Vangelo, possiamo frequentare la Parola viva meditandola e condividendola ogni giorno, e anche accogliendo gli insegnamenti del nostro vescovo. Santo Padre, come si può dare l’opportunità e il gusto ai giovani di condividere con semplicità la parola di Dio quando molti credono di non avere il livello o le competenze per farlo?

Quelli che capiscono meglio la Parola di Dio sono i poveri perché non mettono alcuna barriera a questa parola, che è come una spada a doppio taglio e ti giunge al cuore. E quanto più poveri di spirito diventiamo, meglio la comprendiamo. Voi stessi prendete la Bibbia, il Vangelo; forse direte: “Che disastro, non la capisco perché non ho cultura”. Fai la prova, stai tranquillo, aprila, leggi e ascolta e resterai sorpreso: la Parola ti è arrivata. Questo è molto importante, la Parola di Dio non si ascolta solo con l’orecchio, entra dall’orecchio, o, se la leggi, ti entra dagli occhi; ma si ascolta anche con il cuore. Bisogna ascoltare la Parola di Dio con cuore aperto. Quel ragazzo buono che andò a chiedere a Gesù che cosa doveva fare per ottenere la vita eterna e Gesù gli disse: “I comandamenti” e lui risponde “Li osservo”. Gesù lo amò. “Che cosa posso fare di più”. E Gesù gli disse che cosa poteva fare. Ma lui non lo ascoltò perché aveva il cuore occupato dalle ricchezze.

Una domanda che uno si può fare è: “Perché la Parola di Dio non mi arriva?” Quando non arriva? Perché ho il cuore occupato da un’altra cosa. Un cuore che non ascolta. È chiaro? Possiamo ascoltare la Parola di Dio solo con il cuore aperto.

Pregare insieme è stato il primo luogo d’incontro, di comunione con gli argentini, e specialmente con i più poveri, con i quali avevamo realtà di vita davvero diverse. La preghiera ci ha allora permesso di unire i nostri spiriti e i nostri cuori. Al di là della sua forza di unione, come può la preghiera permettere un incontro personale con Dio?

Due cose: la preghiera quando la faccio insieme al mio popolo, quando la faccio in gruppo, è più forte, perché ci aiutiamo insieme a pregare. Ma questo ci deve insegnare che non si può pregare soli. Ma come, padre Foucauld pregava solo? Sì, io posso stare solo e devo a volte stare solo dinanzi a Dio per incontrarlo nella preghiera. Solo fisicamente, ma devo essere consapevole che con me c’è tutta la Chiesa, c’è tutta la comunità; questo è il modo di pregare di un cristiano. L’eremita più nascosto che sta solo nel suo eremo, sa che è unito al popolo di Dio, e prega con questo sentimento, è accompagnato spiritualmente da altri. Perciò quando pregate soli sappiate che con voi è tutto il popolo di Dio che prega, e questo vi aiuterà a incontrare meglio Gesù.

La vita fraterna è stata il centro di questo pellegrinaggio in Argentina. Abbiamo vissuto tre settimane insieme condividendo molto la nostra vita e quanto vissuto durante il pellegrinaggio, ma da quando siamo tornati in Francia è difficile mettere assieme questo fatto essenziale, la nostra vita fraterna, con la nostra vita scolastica, professionale e anche personale. Come possiamo avere sempre questa vita fraterna in un mondo dove le persone sono sempre più incentrate su se stesse, e credono sempre meno nel nostro paese?

Credo che l’esperienza che avete fatto di convivere in Argentina non può non prolungarsi. È vero che in Argentina stavate insieme in un piccolo paese, eravate pochi e non c’erano tutte le altre conoscenze e gli obblighi. Questo è vero. Ora uno sta in un posto e uno in un altro, ognuno con la sua famiglia e i suoi obblighi. È importante che, regolarmente, una volta a settimana, una volta al mese, vi riuniate per ricordare e rinnovare. Che l’incaricato del gruppo organizzi questo.

Durante il nostro pellegrinaggio abbiamo potuto partecipare a molti progetti, abbiamo potuto ripulire terreni, fare statue, dipingere…. Così ci siamo messi al servizio degli altri. È stato questo cammino a permetterci di fare l’esperienza di condividere profondamente moltissimi incontri con il nostro prossimo. All’inizio è stato difficile a causa della lingua, della cultura, di un luogo che in alcune parti sembrava complicato e fragile, ma il lavoro, la volontà di farlo bene, di mettere in comune le nostre competenze, ci ha permesso di creare una nuova società nutrita dalla fede e dalla preghiera. Santo Padre, come può la Chiesa aiutare i giovani a donarsi nel servizio al prossimo?

Ciò è molto importante perché aiutare i giovani è qualcosa che bisogna sempre fare in cammino, con cose concrete, con sfide concrete. Ciò è molto importante perché lavorare insieme per fare qualcosa risveglia in noi una serie di dimensioni diverse di umanità. Dimensioni di comprendersi, di cooperare e anche di pregare insieme. È molto importante. Se voi dite andiamo a studiare, come dobbiamo comportarci; se voi dite andiamo a studiare, come dobbiamo vivere o comportarci, e fare sul tema una riunione settimanale; non dura neanche quattro settimane: vi annoiate e ve ne andate. Il dialogo tra voi per essere un gruppo deve essere un dialogo con la mente, sapere su cosa si dialoga, con il cuore, e con le mani. Perciò, sembra strano, ma se non fate un dialogo così, il dialogo non procede, non va avanti. Pertanto è molto più facile che i giovani si sporchino le mani per fare qualcosa, e questo è un bene. È l’impegno, grazie.

Durante il nostro viaggio in Argentina abbiamo potuto sperimentare la testimonianza, condividendo con gli argentini il modo in cui viviamo la fede. Abbiamo condiviso tempi spirituali forti, il che ha evangelizzato anche noi stessi. È stato allora attraverso gli incontri e la semplice testimonianza di quello che stavamo vivendo che abbiamo potuto, a modo nostro, evangelizzare. Oggigiorno qual è la maniera prioritaria di evangelizzare?

Io direi evangelizzare in cammino. Gesù ha inviato a evangelizzare. Non ha detto: “Riunitevi, prendete il mate e così evangelizzate”. No. Ha inviato a evangelizzare. Allora, quando vi riunite pensate a dove potete andare: all’ospedale, alla casa di riposo per anziani, o a un centro per bambini…; pensate sempre: dove posso andare mezza giornata, e andate in gruppo. Il vostro vescovo ha usato una parola sull’evangelizzare che a mio giudizio è una delle parole più importanti della pastorale: la dolce e confortante gioia di evangelizzare. Ti rendi conto se stai evangelizzando bene se ti dà gioia, ti dà allegria, ti rende mite nella comunicazione. Questa frase è presa dalla fine dell’Evangelii nuntiandi, che è il documento pastorale più importante del post concilio ed è ancora attuale. È il più importante ed è ancora attuale. E se potete, sarebbe utile in una riunione leggere tutto quel numero, il penultimo. San Paolo VI dice la frase e poi dipinge i cattivi evangelizzatori. Evangelizzatori tristi, scoraggiati, senza speranza. Direi con la faccia da “aceto”. Leggete, meditate sul quel numero. È il migliore trattato di evangelizzazione. Torniamo a La Rioja; ho visto che avete cantato, avete preso il mate, avete assaggiato la grappa di La Rioja? È la migliore grappa del mondo! Ho conosciuto padre Gabriel Longueville. Monsignor Angelelli a La Rioja ci ha predicato il ritiro spirituale del 13 giugno 1973 in cui sono stato eletto provinciale. L’ho conosciuto lì e ho sentito quel consiglio: “Un orecchio per ascoltare la Parola di Dio e un orecchio per ascoltare il popolo”. Ascoltatelo: non esiste l’evangelizzazione di laboratorio, l’evangelizzazione è sempre “corpo a corpo”, “personale”, altrimenti non è evangelizzazione. Corpo a corpo con il popolo di Dio, e corpo a corpo con la Parola di Dio. Grazie per il viaggio a La Rioja. Peccato che non ho mate….


L'Osservatore Romano, Edizione quotidiana n. 248 del 31 ottobre 2018

 

 


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