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DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
AI MEMBRI DEL CONSIGLIO SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA

Sala Clementina
Sabato, 13 giugno 2015

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Signor Vice-Presidente, Signori Consiglieri,
cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Desidero anzitutto esprimervi i miei più sentiti auguri per l’incarico che è stato assegnato a ciascuno di voi a seguito del rinnovo del Consiglio Superiore della Magistratura. Questo incarico è una responsabilità di cui siete pienamente consapevoli e che costituisce un fondamentale punto di equilibrio e stabilità per l’esercizio della funzione giurisdizionale.

La giurisdizione riveste oggi una complessità crescente, in considerazione del moltiplicarsi degli interessi e dei diritti che chiedono di essere messi a confronto e che non sempre possono trovare nella legislazione una risposta precisa e piena dinanzi alla varietà dei casi concreti.

La stessa globalizzazione – come è stato opportunamente richiamato – porta infatti con sé anche aspetti di possibile confusione e disorientamento, come quando diventa veicolo per introdurre usanze, concezioni, persino norme, estranee ad un tessuto sociale con conseguente deterioramento delle radici culturali di realtà che vanno invece rispettate; e ciò per effetto di tendenze appartenenti ad altre culture, economicamente sviluppate ma eticamente indebolite (cfr Esort. ap. Evangelii gaudium, 62). Tante volte io ho parlato delle colonizzazioni ideologiche quando mi riferisco a questo problema.

In tale contesto di scosse profonde delle radici culturali, è importante che le autorità pubbliche, e tra queste anche quelle giurisdizionali, usino lo spazio loro concesso per dare stabilità e rendere più solide le basi dell’umana convivenza mediante il recupero dei valori fondamentali.

A questi valori il Cristianesimo ha offerto il vero e più adeguato fondamento: l’amore di Dio, che è inseparabile dall’amore per il prossimo (cfr Mt 22,34-40).

A partire da queste basi, anche fenomeni come l’espansione della criminalità, nelle sue espressioni economiche e finanziarie, e la piaga della corruzione, da cui sono affette anche le democrazie più evolute, possono trovare un argine efficace. È necessario intervenire non solo nel momento repressivo, ma anche in quello educativo, rivolto in modo particolare alle nuove generazioni, offrendo un’antropologia - che non sia relativista - ed un modello di vita in grado di rispondere alle alte e profonde ispirazioni dell’animo umano. A tale scopo le istituzioni sono chiamate a recuperare una strategia di lungo respiro, orientata alla promozione della persona umana e della pacifica convivenza.

A questa opera di costruzione contribuiscono, e credo anche in prima linea, tutti coloro che sono investiti di una funzione giurisdizionale. Sebbene, come avete giustamente sottolineato, i giudici siano chiamati a intervenire in presenza di una violazione della regola, è anche vero che la riaffermazione della regola non è solo un atto rivolto alla singola persona, ma supera sempre il caso individuale per interessare la comunità nel suo insieme. In questo senso ogni pronunciamento giudiziario varca il confine del singolo processo, per aprirsi e diventare l’occasione in cui tutta la comunità (“il popolo”, nel cui nome sono pronunciate le sentenze) si ritrova intorno a quella regola, ne riafferma il valore e in tal modo, cosa ancora più importante, si identifica in essa.

Giustamente, poi, in questo tempo si pone un accento particolare sul tema dei diritti umani, che costituiscono il nucleo fondamentale del riconoscimento della dignità essenziale dell’uomo. Questo va fatto senza abusare di tale categoria volendo farvi rientrare pratiche e comportamenti che, invece di promuovere e garantire la dignità umana, in realtà la minacciano o addirittura la violano.

La giustizia non si fa in astratto, ma considerando sempre l’uomo nel suo valore reale, come essere creato a immagine di Dio e chiamato a realizzarne, qui in terra, la somiglianza.

Tra coloro che sono stati affascinati da tale compito – e che per esso hanno dato la vita – voglio anch’io ricordare, associandomi a Lei, Signor Vice-Presidente, la figura di Vittorio Bachelet, che occupò la Sua medesima carica e fu ucciso trentacinque anni or sono. La sua testimonianza di uomo, di cristiano e di giurista continui ad animare il vostro impegno al servizio della giustizia e del bene comune.

Il Signore benedica ciascuno di voi e il vostro lavoro. Grazie.

 



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