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VIAGGIO APOSTOLICO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
IN ECUADOR, BOLIVIA E PARAGUAY

(5-13 LUGLIO 2015)

CONVERSAZIONE DEL SANTO PADRE
CON I GIORNALISTI NEL VIAGGIO DI RITORNO DA ASUNCIÓN A ROMA

Volo Papale

[Multimedia]


 

Il Papa ha risposto alle prime tre domande in spagnolo, e alle successive in italiano

 

Domanda (Aníbal Velázquez – Abc Color): Santidad, Soy Aníbal Velázquez, de Paraguay. Nosotros le agradecemos porque haya elevado el Santuario de Caacupé como basílica, pero en el Paraguay se pregunta la gente: ¿por qué Paraguay no tiene cardenal?; ¿cuál es el pecado de Paraguay, que no tenga cardenal?; o, en todo caso, ¿está lejos todavía de que tenga un cardenal?

[Aníbal Velázquez: La ringraziamo per aver elevato il Santuario di Caacupé a basilica, ma in Paraguay la gente si domanda: Qual è il peccato del Paraguay per non avere cardinali?]

Risposta: Bueno, no tener cardenal no es un pecado. La mayoría de los países del mundo no tienen cardenales. Las nacionalidades de los cardenales –no recuerdo cuántas son– son minoría respecto a todo el conjunto. Es verdad, Paraguay no ha tenido ningún cardenal hasta ahora. No sabría darle la razón. A veces, para la elección de cardenales, se balancean, se leen, se estudian los legajos de cada uno, se ve la persona, el carisma sobre todo del cardenal, que debería ser el de aconsejar al Papa y asistir al Papa en el gobierno universal de la Iglesia. El cardenal, si bien pertenece a una Iglesia particular, es –y de aquí la palabra– incardinado a la Iglesia de Roma, y tiene que tener una visión universal. Esto no quiere decir que en Paraguay no haya obispos que la tengan, la pueden tener, pero como siempre hay que elegir hasta un número –uno no puede designar más de 120 cardenales electores–, entonces será por eso. Bolivia ha tenido dos. Uruguay ha tenido dos, Barbieri y el actual. Algunos países centroamericanos tampoco han tenido, pero no es ningún pecado y todo depende de las circunstancias, las personas, el carisma para incardinarse. Y no quiere decir eso un menosprecio o que no tengan valor los obispos paraguayos. Hay obispos paraguayos geniales. Yo me acuerdo de los dos Bogarín, que hicieron historia en Paraguay. ¿Por qué no fueron cardenales? Bueno, no fueron. No es un ascenso, ¿no es cierto? Yo me hago otra pregunta: ¿Merece Paraguay tener un cardenal, si miramos la iglesia del Paraguay? Yo diría: merecería tener dos, pero es por lo otro, no tiene nada que ver con los méritos. Es una Iglesia viva, una Iglesia alegre, una Iglesia luchadora y con una historia gloriosa.

[Non avere cardinali non è un peccato. La maggior parte dei Paesi del mondo non ha cardinali. Le nazionalità dei cardinali — non ricordo quante sono — costituiscono una minoranza rispetto a tutto l’insieme. È vero, il Paraguay finora non ha avuto un cardinale. Non saprei dirle il perché. A volte per l’elezione dei cardinali si valutano, si leggono e si studiano i fascicoli di ognuno, si vede la persona, soprattutto il suo carisma, che dovrebbe essere quello di consigliare il Papa e di assistere il Papa nel governo universale della Chiesa. Il cardinale, sebbene appartenga a una Chiesa particolare, è — e da qui la parola — incardinato nella Chiesa di Roma, e deve avere una visione universale. Ciò non vuol dire che in Paraguay non ci siano vescovi che ce l’hanno, che la possono avere, ma come sempre bisogna sceglierne fino a un certo numero — non si possono designare più di centoventi cardinali elettori — allora, sarà per questo. La Bolivia ne ha avuti due. L’Uruguay ne ha avuti due, Barbieri e quello attuale. Anche alcuni Paesi centroamericani non ne hanno avuti, ma non è un peccato e tutto dipende dalle circostanze, dalle persone, dal carisma per incardinarsi. E questo non significa disprezzo o che i vescovi paraguaiani non abbiano valore. Ci sono vescovi paraguaiani geniali. Mi ricordo dei due Bagarín, che hanno fatto storia in Paraguay. Perché non sono stati cardinali? Ebbene, non lo sono stati. Non è una promozione, vero? Io mi faccio un’altra domanda. Se guardiamo la sua Chiesa, il Paraguay merita di avere un cardinale? Io direi: meriterebbe di averne due, ma per un altro motivo, che non ha nulla a che vedere con i meriti. È una Chiesa viva, una Chiesa allegra, una Chiesa lottatrice e con una storia gloriosa.]

Pregunta: (Priscila Quiroga – Cadena A, y Cecilia Dorado Nava – El Deber, de Bolivia) Su Santidad, por favor, a nosotros nos interesa conocer su criterio en torno a si considera justo el anhelo de los bolivianos de tener una salida soberana al mar, de volver a tener una salida soberana al océano pacifico. Y, Santo Padre, en caso de que Chile y Bolivia pidan su mediación, ¿usted aceptaría?

[Priscila Quiroga e Cecilia Dorado Nava: Santità, per favore, a noi interessa sapere se lei considera giusto l’anelito dei boliviani a riavere uno sbocco sovrano all’Oceano Pacifico. E Santo Padre, nel caso in cui il Cile e la Bolivia chiedessero la sua mediazione, lei accetterebbe?]

Respuesta: Lo de la mediación es una cosa muy delicada, y sería como un último paso. Es decir, Argentina vivió eso con Chile y fue realmente para evitar una guerra. Fue una situación muy limite y muy bien llevada por quienes la Santa Sede encargó –detrás de los cuales siempre estaba san Juan Pablo II interesándose–, y con la buena voluntad de los dos países, que dijeron: “probemos esto si va”. Y, es curioso, hubo un grupo, al menos en Argentina, que nunca quiso esa mediación, y cuando el presidente Alfonsín hizo el plebiscito –sobre si se aceptaba la propuesta de mediación– obviamente que la mayoría del país dijo que sí, pero hubo un grupo que se resistió. Siempre, cuando se hace una mediación, difícilmente todo el país estaría de acuerdo, pero es la última instancia, siempre hay otras figuras diplomáticas que ayudan, en ese caso, facilitadores, etc.

En este momento yo tengo que ser muy respetuoso de esto, porque Bolivia hizo un recurso a un tribunal internacional. Entonces, si yo en este momento hago un comentario –yo soy jefe de un Estado– podría ser interpretado como inmiscuirme o una presión. Tengo que ser muy respetuoso de la decisión que tomó el pueblo boliviano que hizo ese recurso. También sé que hubo instancias anteriores de querer dialogar. No tengo muy claro. El que me dijo una cosa por el estilo, que se estaba cerca de una solución, fue en tiempos del presidente chileno Lagos, pero lo digo sin tener datos exactos. Fue un comentario que me hizo el cardenal Errázuriz. Así que no quisiera decir una “macana” en eso.

También una tercera cosa que quiero dejar clara. Yo, en la catedral de Bolivia, toqué ese tema de una manera muy delicada, teniendo en cuenta la situación de recurso al tribunal internacional. Recuerdo perfectamente el contexto: “Los hermanos tienen que dialogar, los pueblos latinoamericanos dialogan para crear la patria grande, el dialogo es necesario”.  Ahí me detuve, hice un silencio, y dije: “Pienso en el mar”. Y continué: “diálogo y dialogo”. Quiero que quede claro que mi intervención fue un recuerdo a ese problema, pero respetando la situación como está planteada ahora. Estando en un tribunal internacional no se puede hablar de mediación, ni facilitación, hay que esperar.

[La questione della mediazione è molto delicata, e sarebbe come un ultimo passo. L’Argentina lo ha vissuto con il Cile ed è stato realmente per evitare una guerra. È stata una situazione limite e condotta molto bene dalle persone incaricate dalla Santa Sede — dietro le quali c’era sempre san Giovanni Paolo II, che se ne interessava — e c’è stata la buona volontà dei due Paesi che hanno detto: “Proviamo se questo va bene”. Curiosamente c’è stato un gruppo, almeno in Argentina, che non ha mai voluto quella mediazione, e quando il presidente Alfonsín ha indetto il referendum — se si doveva accettare o meno la proposta di mediazione — ovviamente la maggior parte del Paese ha detto sì, ma c’è stato un gruppo che si è opposto. Sempre, quando si fa una mediazione, difficilmente tutto il Paese è d’accordo, ma è l’ultima istanza, ci sono sempre altre figure diplomatiche che aiutano, in questo caso, facilitatori, e così via. In questo momento devo essere molto rispettoso di questo, perché la Bolivia ha presentato un ricorso al tribunale internazionale. Allora, se io in questo momento faccio un commento — io sono capo di uno Stato — potrebbe essere interpretato come un’intromissione o una pressione. Devo essere molto rispettoso della decisione che ha preso il popolo boliviano che ha fatto questo ricorso. So anche che ci sono state istanze precedenti di dialogo. Non mi è molto chiaro. Chi mi ha detto una cosa del genere, che si era vicini a una soluzione, è stato ai tempi del presidente cileno Lagos, ma lo dico senza avere dati esatti. È stato un commento che mi ha fatto il cardinale Errázuriz. Sicché non vorrei dire una sciocchezza al riguardo. C’è una terza cosa che vorrei chiarire. Io, nella cattedrale della Bolivia, ho toccato questo tema in modo molto delicato, tenendo conto della situazione di ricorso al tribunale internazionale. Ricordo perfettamente il contesto: «I fratelli devono dialogare, i popoli latinoamericani dialogano per creare la patria grande, il dialogo è necessario». Lì mi sono fermato, ho fatto silenzio, e ho detto: «Penso al mare». E ho continuato: «Dialogo e dialogo». Voglio che sia chiaro che il mio intervento è stato un ricordare questo problema, ma rispettando la situazione come si presenta ora. Stando in un tribunale internazionale, non si può parlare di mediazione, né di facilitazione, bisogna aspettare.]

Re-pregunta: ¿Es justo o no el anhelo de los bolivianos?

[(continuazione): È giusto o no l’anelito dei boliviani?]

Respuesta: Siempre hay una base de justicia cuando hay cambio de límites territoriales y, sobre todo, después de una guerra. Hay una revisión continua de eso. Yo diría que no es injusto plantearse una cosa de este tipo, ese anhelo. Yo recuerdo que en el año 61, estando en primer año de filosofía, nos pasaron un documental sobre Bolivia –un padre que había venido de Bolivia–, y creo que se llamaba “Las doce estrellas”. ¿Cuántas provincias tiene Bolivia? [Le responden que son 9 departamentos] Entonces se llamaba “Las 10 estrellas”. Y presentaba cada uno de los 9 departamentos y, al final, el décimo departamento; y se veía el mar sin ninguna palabra. Me quedó grabado. Eso fue en el año 61. O sea, que se ve que hay un anhelo. Claro, después de una guerra de ese tipo surgen las pérdidas y creo que es importante, primero, el diálogo, la sana negociación. Ahora, en este momento, el dialogo está detenido obviamente por este recurso a La Haya.

[C’è sempre una base di giustizia quando c’è un cambiamento di confini territoriali e, soprattutto, dopo una guerra. C’è una revisione continua di questo. Io direi che non è ingiusto prospettarsi una cosa di questo tipo, questo anelito. Ricordo che nel 1961, ero al primo anno di filosofia, ci hanno fatto vedere un documentario sulla Bolivia — un padre che era venuto dalla Bolivia — credo che si chiamasse Le dodici stelle. Quante province ha la Bolivia? [Gli rispondono che ha nove dipartimenti]. Allora si chiamava Le dieci stelle. Presentava ognuno dei nove dipartimenti e, alla fine, il decimo dipartimento: si vedeva il mare, senza alcuna parola. Mi è rimasto impresso. Era il 1961. Ossia, si vede che c’è un anelito. Chiaro, dopo una guerra di quel tipo ci sono le perdite, e io credo che sia importante, innanzitutto, il dialogo, la sana negoziazione. Ora, in questo momento, il dialogo è fermo ovviamente per il ricorso all’Aia.]

Pregunta: (Fredy Paredes - Teleamazonas, Ecuador). Su Santidad, buenas noches, muchas gracias. El Ecuador estaba convulsionado antes de su visita. Después de que abandonó el país volvieron las personas que hacen oposición al gobierno a salir a las calles. Parece ser que su presencia en el Ecuador se quiere utilizar políticamente, especialmente por la frase que usted pronunció: “El pueblo del Ecuador se ha puesto de pie con dignidad”. Yo le pregunto de manera puntual, si es que es posible: ¿A qué responde esa frase? ¿Usted simpatiza con el proyecto político del presidente Correa? ¿Usted cree que las recomendaciones generales que ha dado en la visita al Ecuador, con miras a alcanzar el desarrollo, el diálogo, la construcción de democracia, y a no continuar con la política del descarte, como usted la denomina, ya se practica en el Ecuador?

[Fredy Paredes: L’Ecuador era in fermento prima della sua visita. Dopo che ha lasciato il Paese, le persone che fanno opposizione al governo sono tornate in strada. Sembra che si voglia usare politicamente la sua presenza in Ecuador, specialmente per la frase che ha pronunciato: «Il popolo ecuadoriano si è alzato in piedi con dignità».]

Respuesta: Evidentemente que sé que había problemas políticos y huelgas, eso lo sé. No conozco los intríngulis de la política del Ecuador y sería necio de mi parte que diera una opinión. Después me dijeron que hubo como un paréntesis durante mi visita, lo cual lo agradezco, porque es un gesto de un pueblo en pie, respetar la visita del Papa. Lo agradezco y lo valoro. Ahora, si vuelven las cosas, evidentemente que los problemas y las discusiones políticas siguen. Respecto a la frase que usted dice –me refiero a la mayor conciencia que el pueblo Ecuatoriano ha ido tomando de su valor–, hubo una guerra limítrofe con Perú no hace mucho. Hay historias de guerra. Después, una mayor conciencia de la variedad de riqueza étnica de Ecuador. Y eso da dignidad. Ecuador no es un país de descarte. O sea, que se refiere a todo el pueblo y a toda la dignidad de ese pueblo que, después de la guerra limítrofe, se ha puesto de pie y ha tomado cada vez más conciencia de su dignidad y de la riqueza de la unidad en la variedad que tiene. O sea, que no puede atribuirse a una situación concreta. Porque esa misma frase –me comentaron, yo no lo vi– fue instrumentalizada para explicar ambas situaciones: que el gobierno ha puesto de pie a Ecuador o que se han puesto de pie los contrarios al gobierno. Una frase se puede instrumentalizar y en eso creo que hay que ser muy cuidadosos. Y le agradezco la pregunta, porque es una manera de ser cuidadoso. Usted está dando un ejemplo de ser cuidadoso.

Si ustedes me permiten –esto como no me lo preguntaron son cinco minutos más de concesión que les doy, si hacen falta–. Es muy importante en el trabajo de ustedes la hermenéutica de un texto. Un texto no se puede interpretar con una frase. La hermenéutica tiene que ser en todo el contexto. Hay frases que son justo la clave de la hermenéutica y hay frases que no, que son dichas de paso o plásticas. Entonces, ver todo el contexto, ver la situación, incluso, ver la historia. Ver la historia de ese momento o si estamos hablando del pasado, interpretar un hecho del pasado con la hermenéutica de ese tiempo. O sea, las cruzadas: interpretemos las cruzadas con la hermenéutica como se pensaba en ese tiempo. Es clave interpretar un discurso, cualquier texto, con una hermenéutica totalizante, no aislada. Lo digo como ayuda para ustedes. Muchas gracias. Ahora pasamos al guaraní.

[Chiaro che so che c’erano problemi politici e scioperi, questo lo so. Non conosco le difficoltà della politica in Ecuador e sarebbe sciocco da parte mia dare un’opinione. Poi mi hanno detto che c’è stata come una parentesi durante la mia visita, per la qual cosa ringrazio, perché è stato un gesto di un popolo in piedi rispettare la visita del Papa. Ringrazio e apprezzo. Ora, se la situazione è tornata la stessa, evidentemente i problemi e le discussioni politiche continuano. Rispetto alla frase che lei dice — mi riferisco alla maggior coscienza che il popolo ecuadoriano ha preso del proprio valore — c’è stata una guerra di confine con il Perú non molto tempo fa. Ci sono storie di guerra. Poi, una maggiore coscienza della varietà di ricchezza etnica dell’Ecuador. E questo dà dignità. L’Ecuador non è un Paese di scarto. E questo si riferisce a tutto il popolo e a tutta la dignità di questo popolo che, dopo la guerra di confine, si è alzato in piedi e ha preso sempre più coscienza della sua dignità e della ricchezza dell’unità nella varietà che possiede. Ossia che non si può attribuire a una situazione concreta. Perché quella stessa frase — me l’hanno detto, io non l’ho visto — è stata strumentalizzata per spiegare entrambe le situazioni: che il governo ha rimesso in piedi l’Ecuador e che si sono rimessi in piedi gli oppositori del governo. Una frase si può strumentalizzare e in questo credo che occorra essere molto attenti. La ringrazio per la domanda, perché è un modo di essere attenti. Lei sta dando un esempio di come essere attenti. Permettetemi, visto che non me lo avete chiesto, di darvi cinque minuti in più, se servono. È molto importante nel vostro lavoro l’ermeneutica di un testo. Un testo non si può interpretare con una frase. L’ermeneutica deve essere in tutto il contesto. Ci sono frasi che sono proprio la chiave dell’ermeneutica e ci sono frasi che non lo sono, che sono dette di passaggio o artificiali. Allora, bisogna vedere tutto il contesto, vedere la situazione, vedere persino la storia. Vedere la storia di questo momento o se stiamo parlando del passato, interpretare un fatto del passato con l’ermeneutica del suo tempo. Le crociate, per esempio: interpretiamo le crociate con l’ermeneutica del loro tempo. È fondamentale interpretare un discorso, qualsiasi testo, con un’ermeneutica totalizzante, non isolata. Lo dico come aiuto per voi. Grazie. Ora passiamo al guaraní.]

Domanda (Stefania Falasca - Avvenire): Nel discorso che Lei ha fatto in Bolivia ai Movimenti popolari ha parlato del nuovo colonialismo e ha parlato dell’idolatria del denaro che sottomette l’economia, e dell’imposizione dei mezzi di austerità che “aggiustano sempre”, come ha detto, “la cinta dei poveri”. Ora, da settimane noi in Europa abbiamo questo caso della Grecia e della sorte della Grecia che rischia di uscire dalla moneta europea. Lei che cosa pensa di quanto sta accadendo in Grecia e che riguarda anche tutta l’Europa?

Risposta: Prima di tutto, il perché di questo mio intervento nel convegno dei movimenti popolari. È il secondo [convegno]. Il primo è stato fatto in Vaticano, nell’aula vecchia del Sinodo, c’erano circa 120 persone… E’ una cosa che organizza [il Pontificio Consiglio] Giustizia e Pace. Io sono vicino a questa realtà, perché è un fenomeno presente in tutto il mondo, in tutto il mondo. Anche in Oriente, nelle Filippine, in India, in Tailandia. Sono movimenti che si organizzano fra loro, non solo per fare una protesta, ma per andare avanti e poter vivere. E sono movimenti che hanno forza, e questa gente, che sono tanti e tanti, non si sente rappresentata dai sindacati, perché dicono che i sindacati adesso sono una corporazione, non lottano – sto semplificando un po’ – per i diritti dei più poveri. E la Chiesa non può essere indifferente. La Chiesa ha una Dottrina sociale e dialoga con questo movimento, e dialoga bene. Voi avete visto, avete visto l’entusiasmo di sentire che la Chiesa – dicono - non è lontana da noi, la Chiesa ha una dottrina che ci aiuta a lottare per questo. E’ un dialogo. Non è che la Chiesa faccia una scelta per la strada anarchica. No, non sono anarchici: questi lavorano, cercano di fare tanti lavori anche con gli scarti, le cose che avanzano; sono lavoratori davvero… Questo è il primo, l’importanza di questo [movimento].

Poi, sulla Grecia e il sistema internazionale. Io ho una grande allergia all’economia, perché papà era ragioniere e quando non finiva il lavoro in fabbrica lo portava a casa, il sabato e la domenica, con quei libri, di quei tempi, dove i titoli si facevano in gotico… e lavorava, e io vedevo papà… e ho un’allergia. Io non capisco bene com’è la cosa [la questione della Grecia], ma certamente sarebbe semplice dire: la colpa è soltanto di questa parte. I governanti greci che hanno portato avanti questa situazione di debito internazionale, hanno anche una responsabilità. Col nuovo governo greco si è andati verso una revisione un po’ giusta. Io mi auguro - è l’unica cosa che posso dirti, perché non so bene - che trovino una strada per risolvere il problema greco e anche una strada di sorveglianza per non ricadere in altri Paesi nello stesso problema; e che questo ci aiuti ad andare avanti, perché quella strada del prestito e dei debiti alla fine non finisce mai. Mi hanno detto, un anno fa più o meno, ma non so, questa è una cosa che ho sentito, che c’era un progetto nelle Nazioni Unite - se qualcuno di voi sa questo sarebbe bene che lo spiegasse -, c’era un progetto per il quale un Paese può dichiararsi in bancarotta - che non è lo stesso che il default - ma è un progetto che ho sentito e non so come è andata, se era vero o no. Se un’impresa può fare una dichiarazione di bancarotta, perché un Paese non può farla e così si va all’aiuto degli altri? Questi erano i fondamenti di questi progetto, ma di questo non posso dire niente di più.

Poi, per quanto riguarda le nuove colonizzazioni, evidentemente vanno tutte sui valori. La colonizzazione del consumismo, ad esempio. L’abitudine del consumismo è stato un processo di colonizzazione; perché ti porta a un’abitudine che non è la tua e anche ti squilibra la personalità. Il consumismo squilibra anche l’economia interna e la giustizia sociale, e pure la salute fisica e mentale, tanto per dare un esempio.

Domanda (Anna Matranga – Cbs News): Santità, uno dei messaggi più forti di questo viaggio è stato che il sistema economico globale spesso impone la mentalità del profitto a ogni costo, a scapito dei poveri. Questo è percepito dagli statunitensi come una critica diretta del loro sistema e modo di vivere. Lei come risponde a questa percezione? E qual è la sua valutazione dell’impatto degli Stati Uniti nel mondo?

Risposta: Quello che ho detto, quella frase, non è nuova. L’ho detto nella Evangelii gaudium: “questa economia uccide” (n. 53). Quella frase la ricordo bene, c’è un contesto. E l’ho detta nella Laudato si’. La critica è una cosa non nuova, si sa. Ho sentito che alcune critiche sono state fatte negli Stati Uniti. L’ho sentito. Ma non le ho lette e non ho avuto il tempo di studiarle bene, perché ogni critica dev’essere recepita e studiata per poi fare il dialogo. Lei mi chiederà che cosa penso, ma se io non ho dialogato con quelli che fanno la critica non ho diritto di fare un pensiero così, isolato dal dialogo. Questo è quanto mi viene da dirLe.

Domanda (continuazione): Lei adesso andrà negli Stati Uniti, Lei ha un’idea di come sarà ricevuto, ha qualche pensiero sulla nazione?…

Risposta: No, devo cominciare a studiare adesso, perché fino a oggi ho studiato questi tre Paesi bellissimi, che sono una ricchezza e una bellezza. Adesso devo cominciare a studiare Cuba, perché ci andrò due giorni e mezzo, e poi gli Stati Uniti, le tre città all’Est – perché all’Ovest non posso andare – c’è Washington, New York e Filadelfia. Sì, devo cominciare a studiare queste critiche e poi dialogare un po’.

Domanda (Aura Vistas Miguel): Santità, che cosa ha provato quando ha visto quella falce e martello con Cristo sopra, offerto dal Presidente Morales? E dove è finito questo oggetto?

Risposta: Io – è curioso – non conoscevo questo, e neppure sapevo che Padre Espinal era scultore e anche poeta. L’ho saputo in questi giorni. L’ho visto e per me è stata una sorpresa. Secondo: lo si può qualificare come il genere dell’arte di protesta. Per esempio, a Buenos Aires alcuni anni fa è stata fatta una mostra di uno scultore bravo, creativo, argentino - adesso è morto -: era arte di protesta, e io ricordo un’opera che era un Cristo crocifisso che era su un bombardiere che veniva giù. Era una critica del cristianesimo che è alleato con l’imperialismo che era il bombardiere. Primo punto, quindi, non sapevo; secondo, io lo qualifico come arte di protesta che in alcuni casi può essere offensiva, in alcuni casi. Terzo, in  questo caso concreto: Padre Espinal è stato ucciso nell’anno 80. Era un tempo in cui la teologia della liberazione aveva tanti filoni diversi, uno di questi era con l’analisi marxista della realtà, e Padre Espinal apparteneva a questo. Questo sì, lo sapevo, perché in quel tempo io ero rettore della Facoltà Teologica e si parlava tanto di questo, dei diversi filoni e di quali ne erano i rappresentanti. Nello stesso anno, il Padre Generale della Compagnia di Gesù, Padre Arrupe, fece una lettera a tutta la Compagnia sull’analisi marxista della realtà nella teologia, un po’ fermando questo, dicendo: no, non va, sono cose diverse, non va, non è giusto. E quattro anni dopo, nell’84, la Congregazione per la Dottrina della Fede pubblica il primo volumetto piccolino, la prima dichiarazione sulla teologia della liberazione, che critica questo. Poi viene il secondo, che apre le prospettive più cristiane. Sto semplificando. Facciamo l’ermeneutica di quell’epoca. Espinal è un entusiasta di questa analisi della realtà marxista, ma anche della teologia, usando il marxismo. Da questo è venuta quell’opera. Anche le poesie di Espinal sono di quel genere di protesta: era la sua vita, era il suo pensiero, era un uomo speciale, con tanta genialità umana, e che lottava in buona fede. Facendo un’ermeneutica del genere io capisco quest’opera. Per me non è stata un’offesa. Ma ho dovuto fare questa ermeneutica e la dico a voi perché non ci siano opinioni sbagliate. Quest’oggetto ora lo porto con me, viene con me. Lei ha sentito forse che il Presidente Morales ha voluto darmi due onorificenze: una è la più importante della Bolivia e l’altra è dell’Ordine del Padre Espinal, un nuovo Ordine. Ora, io non ho mai accettato un’onorificenza, non mi viene… Ma lui lo ha fatto con tanta buona volontà e con il desiderio di farmi piacere. E ho pensato che questo viene dal popolo della Bolivia – ho pregato su questo, e ho pensato: se le porto in Vaticano queste andranno in un museo e nessuno le vedrà. Allora ho pensato di lasciarle alla Madonna di Copacabana, la Madre della Bolivia, e andranno al Santuario di Copacabana, alla Madonna, queste due onorificenze che ho consegnato. Invece il Cristo lo porto con me. Grazie.

Domanda (Anaïs Feuga): Durante la Messa a Guayaquil Lei ha detto che il Sinodo dovrebbe far maturare un vero discernimento per trovare soluzioni concrete alle difficoltà delle famiglie. E poi ha chiesto alla gente di pregare perché persino quello che a noi sembra impuro, ci scandalizza o ci spaventa, Dio lo possa trasformare in miracolo, ha detto. Ci può precisare a quali situazioni “impure” o “spaventose” o “scandalose” Lei si riferiva?

Risposta: Anche qui farò l’ermeneutica del testo. Stavo parlando sul miracolo del buon vino [alle nozze di Cana] e ho detto che le anfore di acqua erano piene, ma erano per la purificazione. Ossia ogni persona che entrava in quella festa faceva la sua purificazione e lasciava le sue sporcizie spirituali. E’ un rito di purificazione prima di entrare in una casa, o anche nel tempio. Un rito che noi adesso abbiamo nell’acqua benedetta: è rimasto questo di quel rito ebraico. Ho detto che Gesù fa il più buon vino proprio con l’acqua delle sporcizie, del peggio. In generale, ho pensato di fare questo commento: la famiglia è in crisi, lo sappiamo tutti, basta leggere l’Instrumentum laboris che voi conoscete bene perché è stato presentato, è lì… A tutto questo io facevo riferimento, in generale: che il Signore ci purifichi da queste crisi, da tante cose che sono descritte in quel libro dell’Instrumentum laboris. E’ una cosa in genere, non ho pensato a nessun punto particolare. Che ci faccia migliori, ci faccia famiglie più mature, migliori. La famiglia è in crisi, che il Signore ci purifichi e andiamo avanti. Ma le particolarità di questa crisi sono tutte nell’Instrumentum laboris del Sinodo, che è finito e voi lo avete.

Domanda (Javier Martínez Brocal di Romereports): Santità, grazie mille per questo dialogo che ci aiuta tanto personalmente e anche nel nostro lavoro. Faccio la domanda a nome anche di tutti i giornalisti di lingua spagnola. Abbiamo visto come è andata bene la mediazione tra Cuba e Stati Uniti. Pensa che si possa fare qualcosa di simile in altre situazioni delicate del Continente latinoamericano, penso a Venezuela e penso anche a Colombia? Poi ho una curiosità: penso a mio padre, che ha qualche anno meno di Lei ma ha la metà delle energie. Lo abbiamo visto in questo viaggio, lo abbiamo visto in questi due anni e mezzo. Qual è il suo segreto?

Risposta: Qual è la sua “droga”, vorrebbe domandare lui… [ride], quella era la domanda!

Il processo fra Cuba e Stati Uniti non è stato mediazione. Non ha avuto il carattere di mediazione. C’era un desiderio che era arrivato. Dall’altra parte anche, desiderio… E poi, dico la verità, questo è stato a gennaio dell’anno scorso; e poi sono passati tre mesi in cui soltanto ho pregato su questo, non mi sono deciso… ma che cosa si può fare con questi due, dopo più di cinquant’anni che stanno così? Ma poi il Signore mi ha fatto pensare a un cardinale. Lui è andato lì, ha parlato, e poi non ho saputo niente, sono passati mesi e un giorno il Segretario di Stato - che è qui - mi ha detto: “Domani avremo la seconda riunione con le due équipes” – “Come?” – “ Sì, si parlano, fra i due gruppi si parlano e stanno facendo…”. Da solo è andato, non è stato mediazione, è stata la buona volontà dei due Paesi; il merito è loro, sono loro che hanno fatto questo. Noi non abbiamo fatto quasi nulla, soltanto piccole cose, e a metà dicembre è stato annunciato. Questa è la storia, davvero, non c’è di più. A me preoccupa in questo momento che non si fermi il processo di pace in Colombia. Questo devo dirlo e io mi auguro che questo processo vada avanti e in questo senso noi siamo sempre disposti ad aiutare, in tanti modi di aiuto. Ma sarebbe una cosa brutta che non possa andare avanti. Nel Venezuela, la Conferenza episcopale lavora per fare un po’ di pace, ma anche lì non c’è nessuna mediazione. In quello degli Stati Uniti [e Cuba] è stato il Signore e due circostanze casuali, e poi è andato avanti da solo. Per la Colombia mi auguro e prego, e dobbiamo pregare, perché non si fermi questo processo, è un processo che dura da più di cinquant’anni anche lì, e quanti morti! Ho sentito che sono milioni. Sul Venezuela non ho niente di più da dirti.

…Ah, la “droga”. Mah, il mate mi aiuta, ma non ho assaggiato la coca. Questo è chiaro!

Domanda (Ludwig Ring-Eifel - Kna): Santo Padre, in questo viaggio abbiamo sentito tanti messaggi forti per i poveri, anche tanti messaggi forti, a volte severi, per i ricchi e i potenti, ma una cosa che abbiamo sentito pochissimo erano messaggi per la classe media, cioè la gente che lavora, la gente che paga le tasse, la gente normale, quindi. La mia domanda è: perché nel magistero del Santo Padre ci stanno così pochi messaggi per questa classe media? E se ci fosse un tale messaggio, quale sarebbe?

Risposta: Grazie tante, è una bella correzione, grazie! Lei ha ragione, è uno sbaglio da parte mia. Devo pensare su questo. Farò qualche commento ma non per giustificarmi. Lei ha ragione, devo pensare un po’. Il mondo è polarizzato. La classe media diventa più piccola. La polarizzazione fra i ricchi e i poveri è grande, questo è vero, e forse questo mi ha portato a non tenere conto di quello. Parlo del mondo, alcuni Paesi no, vanno benissimo, ma nel mondo in genere la polarizzazione si vede e il numero dei poveri è grande. E poi perché parlo dei poveri? Ma perché è al cuore del Vangelo, e sempre parlo della povertà a partire dal Vangelo, benché sia sociologica. Poi, sulla classe media ci sono alcune parole che ho detto, però un po’ “en passant”. Ma la gente semplice, la gente comune, l’operaio... quello è un grande valore. Ma credo che Lei mi dica una cosa che devo fare, devo approfondire di più il magistero su questo. La ringrazio. La ringrazio per l’aiuto. Grazie.

Domanda (Vania De Luca – Rainews 24): Lei in questi giorni ha insistito sulla necessità dei percorsi di integrazione, di inclusione sociale, contro la mentalità dello scarto. Ha sostenuto anche progetti che vanno in questa direzione del vivere bene. Anche se ci ha già detto che deve ancora pensare al viaggio negli Stati Uniti, toccherà, pensa, questi temi all’Onu, alla Casa Bianca? Pensava anche a quel viaggio quando ha parlato di queste problematiche?

Risposta: No, pensavo soltanto a questo viaggio concreto e al mondo in genere. Il debito in questo momento dei Paesi del mondo è terribile. Tutti i Paesi hanno debiti e vi sono uno o due Paesi che hanno comprato i debiti dei grandi Paesi. E’ un problema mondiale. Ma con questo non ho pensato particolarmente al viaggio negli Stati Uniti.

Domanda (Courtney Walsh – Fox News): Santità, abbiamo parlato un po’ di Cuba, dove Lei va a settembre prima di andare negli Stati Uniti, e del ruolo che il Vaticano ha avuto nel loro avvicinamento. Adesso che Cuba avrà un ruolo maggiore nella comunità internazionale, secondo Lei L’Avana dovrà migliorare la sua reputazione sul rispetto dei diritti umani e compresa la libertà religiosa? E Lei crede che Cuba rischia di perdere qualcosa in questo nuovo rapporto con il Paese più potente del mondo?

Risposta: I diritti umani sono per tutti e non si rispettano i diritti umani soltanto in uno o due Paesi. Io dirò che in tanti Paesi del mondo non si rispettano i diritti umani, in tanti Paesi del mondo! E cosa perde Cuba e cosa perdono gli Stati Uniti? Tutti e due guadagneranno qualcosa e perderanno qualcosa, perché in un negoziato è così. Ma quello che guadagneranno tutti e due è la pace. Questo è sicuro. L’incontro, l’amicizia, la collaborazione: questo è il guadagno. Che cosa perderanno non riesco a pensarlo, saranno cose concrete, ma sempre in un negoziato si guadagna e si perde. Tornando sui diritti umani e sulla libertà religiosa, ma pensate: nel mondo ci sono Paesi, anche qualche Paese europeo, che non ti lascia fare un segno religioso, per diversi motivi. E in altri continenti lo stesso. Sì, questo. La libertà religiosa non è rispettata in tutto il mondo, ci sono tanti Paesi in cui non è rispettata.

Domanda (Benedicte Lutaud): Santità, Lei si pone come nuovo leader mondiale delle politiche alternative; vorrei sapere perché punta molto sui movimenti popolari e meno sul mondo dell’impresa, e se Lei pensa che la Chiesa La seguirà nella Sua mano tesa verso i movimenti popolari che sono molto laici.

Risposta: Grazie! Il mondo dei movimenti popolari è una realtà; è una realtà molto grande, in tutto il mondo. Io che ho fatto? Ciò che ho fatto è dare a loro la dottrina sociale della Chiesa, lo stesso che faccio con il mondo dell’impresa. C’è una dottrina sociale della Chiesa. Se Lei legge quello che ho detto ai movimenti popolari, che è un discorso abbastanza grande, è un riassunto della dottrina sociale della Chiesa, ma applicata alla loro situazione. Ma è la dottrina sociale della Chiesa. Tutto quello che ho detto è dottrina sociale della Chiesa, e quando devo parlare al mondo dell’impresa dico lo stesso, cioè che cosa dice del mondo dell’impresa la dottrina sociale della Chiesa. Per esempio nella Laudato si’ c’è una parte sul bene comune e anche sul debito sociale della proprietà privata che va in quel senso; ma è applicare la dottrina sociale della Chiesa.

Domanda (continuazione): Lei pensa che la Chiesa La seguirà in questa mano tesa?

Risposta: Sono io che seguo la Chiesa qui, perché semplicemente predico la dottrina sociale della Chiesa a questo movimento. Non è una mano tesa con un nemico, non è un fatto politico, no. E’ un fatto catechetico. Voglio che questo sia chiaro. Grazie.

Domanda (Cristina Cabrejas): Santo Padre, non ha un po’ paura che Lei e i suoi discorsi siano strumentalizzati dai governi, dai gruppi di potere, dai movimenti. Grazie.

Risposta: Un po’ ripeto quello che ho detto all’inizio. Ogni parola, ogni frase di un discorso può essere strumentalizzata. E’ quello che mi domandava il giornalista ecuadoriano. Proprio la stessa frase, alcuni dicevano che era pro-governo e gli altri che era contro il governo. Per questo mi sono permesso di parlare della ermeneutica totale. E sempre sono strumentalizzati. Alcune volte vengono notizie che prendono una frase e poi fuori contesto. Sì, non ho paura, semplicemente dico: guardate il contesto! Se sbaglio, con un po’ di vergogna chiedo scusa e vado avanti.

Domanda (continuazione): Mi permetta una battuta: che cosa pensa di tutte queste “autofoto”, “selfie”, durante la Messa, che si fanno i giovani, i bambini, i colleghi?...

Risposta: Cosa penso? E’ un’altra cultura. Mi sento bisnonno. Oggi, nel congedarmi, un poliziotto, grande, avrà avuto quarant’anni, mi ha detto: mi faccio un selfie. Gli ho detto: ma tu sei un adolescente! Si è un’altra cultura, ma la rispetto.

Domanda (Andrea Tornielli): Santo Padre, in sintesi, che messaggio ha voluto dare alla Chiesa latinoamericana in questi giorni? E che ruolo può avere la Chiesa latinoamericana, anche come segno nel mondo?

Risposta: La Chiesa latinoamericana ha una grande ricchezza: è una Chiesa giovane, e questo è importante. Una Chiesa giovane con una certa freschezza, anche con alcune informalità, non tanto formale. Inoltre ha una teologia ricca, di ricerca. Io ho voluto dare coraggio a questa Chiesa giovane e credo che questa Chiesa può dare tanto a noi. Dico una cosa che mi ha colpito tanto. In tutti e tre i Paesi, tutti e tre, c’erano lungo le strade i papà e le mamme con i bambini; facevano vedere i bambini. Mai ho visto tanti bambini, tanti bambini. E’ un popolo – e anche la Chiesa è così – che è una lezione per noi, per l’Europa, dove il calo delle nascite spaventa un po’, e anche le politiche per aiutare le famiglie numerose sono poche. Penso alla Francia che ha una bella politica per aiutare le famiglie numerose ed è arrivata, credo, a più del due per cento, mentre altri sono vicini allo zero, anche se non tutti. Credo che in Albania il 45 per cento, ma in Paraguay oltre il 70 per cento della popolazione sia dai 40 anni in giù. La ricchezza di questo popolo e di questa Chiesa è che si tratta di una Chiesa viva. E’ una ricchezza, una Chiesa di vita. Questo è importante. Credo che noi dobbiamo imparare da questo e correggere, perché altrimenti, se non vengono i figli… E’ quello che mi tocca tanto dello “scarto”: si scartano i bambini, si scartano gli anziani, con la mancanza di lavoro si scartano i giovani. Per questo i popoli nuovi, i popoli giovani ci danno più forza. Per la Chiesa, che direi una Chiesa giovane – con tanti problemi, perché ne ha di problemi – credo che questo sia il messaggio che io trovo: non avere paura per questa gioventù e questa freschezza della Chiesa. Può essere anche una Chiesa un po’ indisciplinata, ma col tempo si disciplinerà, e ci dà tanto di buono.

 



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